Ai sensi dell’art. 2489, co. 1 c.c., i liquidatori di società sono investiti del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società qualora l’assemblea, in sede di deliberazione dello scioglimento della società e di nomina dei liquidatori, non abbia limitato i loro poteri alla stregua delle indicazioni contenute nell’art. 2487, co. 2 c.c. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione Sez. I, nell’ordinanza n. 13867 depositata il 01.06.2017. La Corte, in accoglimento del ricorso proposto dall’Avv. Antonio Guida, ha accolto la tesi dallo stesso prospettata in ordine all’interpretazione dell’art. 2489, co. 1 e 2487, co. 2 c.c.

La vicenda trae origine dallo scioglimento di una società per sopravvenuta impossibilità di raggiungimento dell’oggetto sociale, a seguito del quale la società è stata poi dichiarata fallita. Per espresso incarico del liquidatore, un consulente della società redigeva un progetto economico finanziario volto a verificare la convenienza della prosecuzione dell’attività economica rispetto alla cessazione pura e semplice dell’attività stessa, in vista della liquidazione della società. Non avendo ricevuto alcun compenso per l’attività espletata, il consulente chiedeva l’ammissione al passivo del proprio credito. La richiesta però veniva rigettata, in primis, dal giudice delegato e, successivamente, anche dal Tribunale di Larino, presso cui il consulente aveva proposto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento.

Nella motivazione della sentenza, il Tribunale affermava che l’assemblea, nel deliberare lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore, non aveva previsto alcuna indicazione specifica in ordine ai poteri dei liquidatori di cui all’art. 2487 c.c., valutando soltanto la “possibilità di ristrutturazione dell’azienda nei limiti di una auspicata ripresa generale del settore del mercato”. In particolare, secondo il Tribunale di Larino, se la delibera assembleare non contiene specifica indicazione dei criteri in base ai quali si deve svolgere la liquidazione (ex art. 2487, comma 1, lett. c) non rientra nei poteri del liquidatore l’affidamento di un incarico relativo alla predisposizione di un piano avente ad oggetto anche il risanamento dell’azienda, seppure ai soli fini del miglior realizzo degli utili in funzione della liquidazione. Secondo tale interpretazione, dunque, il liquidatore aveva agito in carenza di potere, e l’atto di conferimento dell’incarico doveva essere imputato non già alla società bensì alla persona fisica (il liquidatore) che lo aveva posto in essere.

Di segno opposto invece la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13867/17, che ha accolto la diversa interpretazione degli artt. 2487 e 2489 c.c. sostenuta dall’Avv. Guida, secondo cui, dal combinato disposto degli artt. 2487 e 2489 c.c., emerge che i poteri attribuiti dalla legge al liquidatore sono amplissimi, potendo egli porre in essere tutti gli atti utili alla liquidazione. La disciplina legale dei poteri del liquidatore, invero, ha natura dispositiva e residuale, trovando applicazione in quanto non sia diversamente disposto in sede statutaria o assembleare.

La Suprema Corte ha poi chiarito che il caso di specie differisce dall’ipotesi regolata dalla medesima Sezione con la recente sentenza n. 12273 del 14.06.2016, in base alla quale “Il liquidatore di società per azioni non può presentare proposta di concordato preventivo, ancorché liquidatorio, se tale potere non gli è attribuito dall’assemblea”.

Alla luce del principio espresso dalla Suprema Corte, laddove lo statuto o l’assemblea non limitino espressamente i poteri attribuiti al liquidatore, l’art. 2489 c.c. gli attribuisce ex lege ogni potere utile ai fini della liquidazione della società, compreso quello (conferito nel caso di specie) di predisporre un piano per il risanamento dell’azienda in funzione del miglior realizzo.